Maksim Gor’kij
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Maksim Gor’kij è lo pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov (1868- 1936). Orfano e poverissimo, vive un’infanzia errabonda e picaresca, che lo mette in contatto con la ricca tradizione della narrazione popolare e fa nascere in lui la passione per la letteratura. Dopo i moti del 1905, scrittore affermatissimo, è espulso dall’Accademia e mandato al confino in Crimea. Nel 1906 inizia il suo esilio volontario: Inghilterra, Francia e Italia, a Capri. Torna in patria nel 1913. Dopo una collaborazione con il potere bolscevico, lascia nuovamente il paese nel 1921, ufficialmente per motivi di salute. La sua immensa popolarità, in Russia e in Occidente, induce il potere sovietico a organizzarne un trionfale ritorno in patria. A Mosca si spegne, nel 1936, in un clima di sospetti che fa fiorire sulla sua morte diverse “leggende”. La tarda accettazione del favore staliniano, e la nomea di “padre del realismo socialista”, ne hanno decretato una vera e propria damnatio memoriae. Gor’kij non si pubblica quasi più nella Russia postsovietica, né in Italia, dove i suoi romanzi più conosciuti (La madre, L’affare degli Artamonov, Piccoli borghesi, Nei bassifondi, I nemici) hanno invece goduto a loro tempo di enorme popolarità. Varen’ka Olesova esce nel 1898, quando Gor’kij in Russia era già all’apogeo della fama, tanto che non si esitava a porlo sullo stesso piano di Čechov se non di Tolstoj.